Selezione di testi estratti dell'opera di Antonio Prete "Trattato della lontananza" Bollati Boringhieri editore. Le immagini ei riferimenti sono opera e suggerimenti documentate dell'autore di questo blog

sabato 31 dicembre 2011

CRONACA DI UNO SGUARDO

Nell’esperienza dell’esilio la dislocazione dello sguardo si fa interrogazione profonda, lo sradicamento non cerca protezioni al di fuori del linguaggio. Che spesso è la sola zattera nel mare dell’estraneità e della solitudine.

martedì 20 dicembre 2011

LA PERSISTENZA DELL'AZURRO

L’esorcismo dell’infinito  cerca nuove innumerevoli forme. Le poetiche dell’arte –tra storiche e ricorrenti avanguardie e nel cuore dei periodici ritorni al classico- trattano di volta in volta la lontananza  come simulacro, o come citazione manieristica della perduta prospettiva o come sconfinamento tutto raccolto nel chiuso di una stanza,  nelle linee di un oggetto, nella fissità di uno sguardo, nell’eleganza di un disegno. 

La persistenza dell’azzurro -in funzione di similitudine del lontano, più che come significante del lontano- dichiara il legame con la tradizione. Che è un legame d’ossequio, d’ironia, di eredità ineludibile, di maniera. Un catalogo dell’azzurro racconterebbe, lungo l’avventurosa vicenda di molteplici e contrastanti esperienze pittoriche, la storia di una paradossale fedeltà. Che i tradimenti, naturalmente, confermano. 

Yves Klein, IKB 3, Monochrome bleu sans titre, 1960 / L'Arbre, grande éponge bleue, 1962

martedì 13 dicembre 2011

I CONFINI DELLA STORIA

I grandi libri delle antiche religioni mediterranee e di quelle orientali accolgono anch'essi il confine su cui la storia si congiunge con l'immaginazione, e su quel confine s'affacciano popolazioni perdute.

INTRAPPOLATI IN LONTANANZA

Ma le stelle sono chiuse nella loro lontananza, nella loro indicibilità (ancora Rilke: “die sind besser unsäglich”). Non appartengono alla lingua dell’uomo: sono anzi proprio quel che la parola non può accogliere, nominare.

SI AVVICINA UN PUNTO

Il punto approssimandosi si fa più lucente, un bianco indistinto rende forma da una parte, e un altro bianco si definisce dall’altra. Sono le ali del “celestial nocchiero” che conduce “più di cento spiriti” verso la riva, salmodiando le parole dell’esilio, della sua fine: “In exitu Israël de Aegypto”. Più si avvicina “l’uccel divino” e più chiara è la sua figura, fino a che non diviene abbacinante, insostenibile alla vista.

I REGNI DELL'INESPLORATO

Dare un nome a ciò che non ha nome perché ignoto, recingere lo sconfinato, disporre in un ordine spaziale e geometrico il misterioso, e ancora offrire una terra al mostruoso e un cielo alle divinità dei corpi astrali significava cercare rassicurazioni per lo spaurimento provocato dall’insondabile. E significava accogliere in un disegno il favoloso, e anche indicare dove si estendono i regni dell’inesplorato.

LA PATRIA DEL POETA

Figura della metamorfosi è a nuvola: la sua forma, appena la si fissa, è già mutata. La patria del poeta  -lo diceva  il poeta tedesco Jean Paul-  è una patria di nuvole, una Wolkenheimat. L’orizzonte verso cui corrono le nuvole è l’altro paese, l’”autre monde” : un paese il cui profilo allo stesso tempo è tutto disegnato nell’interiorità del poeta ed è un miraggio, si mostra come il vero abitare ed è avvolto nella nebbia dell’ignoto. Sogno, idea, musica di un altrove che trasforma il suo incantamento in linea d’orizzonte a partire dalla quale si può criticare il tempo presente, la crudeltà e l’assenza di “apertura” che abita il tempo presente.

MADRE, CHE COSA POTEVO DIMENTICARE?

Ogni partenza è un addio, anche se spesso impronunciato. E’ dal tempo vissuto in un luogo che si parte, dalle voci e dalle immagini di quel tempo, dalla nostra stessa immagine, così come era in quel tempo. Se, come dice il notissimo adagio, partire è un po’ morire, quel che di noi si lascia morire è quel tempo che ci ha appartenuto, e, in quel tempo, la vita degli altri che con la nostra s’è intrecciata.

ANTROPOLOGIA IMMAGINARIA

La conoscenza di popolazioni lontane è stata annunciata, e accompagnata via via, e forse favorita, dalla rappresentazione fantastica. Un’antropologia immaginaria ha descritto geografia e costumi, lingue e riti di terre lontane. (...) ...il favoloso, l’eccessivo, lo straordinario sono confluiti in questo antichissimo e moderno esercizio che racconta la lontananza, gli uomini e le usanze che la abitano, le stravaganze e l’impensato che la fa risplendere di una fascinazione sempre rinnovata. Non è forse nel desiderio insopprimibile del viaggio, in quella malattia che Baudelaire chiama “orrore del Domicilio”, che fondano la loro esistenza i paesi fantastici, le  popolazioni immaginarie?


ALL'ORIZZONTE DI UN MECCANISMO

Miniaturizzazione e familiarizzazione ludica del cosmo: la lontananza, di cui resta l’azzurro come estrema fredda citazione, è una piccola scenografia che infrange l’illusionismo naturalistico perché pone i due soli e le due lune nello spazio di un meccanismo governabile (il filo può accendere e spegnere i due astri). Gli emblemi della antica e moderna Melancholia –sole nero, luna nera- sono riportati nello spazio scenico e insieme ludico di un’oggettività priva ormai di ogni emozione dinanzi al “naturale”: la pittura non è più nell’orizzonte del baudelairiano sur-naturel -che era, ancora, distanza dalla natura, una distanza interrogativa e interpretativa- ma è nell’orizzonte di un congegno che contamina citazioni, provenienti anche dal repertorio dello stesso autore.

UNA STORIA LIQUIDA

María Zambrano nel suo libro Los bienaventurados ha descritto la fisionomia interiore di chi vive in questa concreta condizione d’esilio. Il senso forte dell’orfanità, ad esempio. La presenza dei padri, della tradizione stessa,  è dissolta. La storia non ti appartiene, hai la sensazione di galleggiarci sopra: una storia acquatica, sfuggente, che non ti sostiene. L’esperienza dello sradicamento rende l’esiliato incline alla visione: questa disposizione è, allo stesso tempo, distrazione, “divertissement” interiore, attitudine malinconica e ricerca di una prossimità al linguaggio, ai suoi confini. 



DIALOGO TRA LA FINITUDINE

Il cammino che s’avventura nei luoghi dove riluceva con i suoi richiami la lontananza –miraggio che fosse o terra di fisico approdo- fa di ogni sosta la soglia di una nuova osservazione. Di un nuovo sguardo che cerca la sua nuova lontananza. Per riprendere il dialogo tra la finitudine e il suo oltre.

LACRIME D'ADDIO

La lacrima, unico frutto dell’amore: la passione d’amore, con i romantici, ha consegnato alle lacrime il compito di una lingua più forte della lingua, il potere di compendiare tutte le sfumature di un sentire impetuoso, gioia e presagio della fine intrecciati. (...) L’ora dell’addio è la scena che consegna voci, gesti, volti a un tempo  in cui la distanza  modula, nella ripetizione dolce e amara ella ricordanza, i contorni, i timbri, fino alla loro dissolvenza, alla loro trasformazione in trasognata e impalpabile parvenza, fluttuante tra il reale e l’illusorio, tra il ricordo e l’immaginazione. (...) Tenere aperto lo spazio della nostalgia può voler dire ospitare queste immagini nel linguaggio. 

VIDEO PRESENTACIÓN 1ª parte / 2ª parte




Presentación de Tratado de la lejania en el Museu d'Història de la Immigració de Catalunya,
 21 de Octubre de 2011. En la fotografía, Imma Boj la directora del museo y el autor del libro, Antonio Prete.



Inauguración de la exposición permanente Espai Migrar en el jardín del MhiC. 
En los paneles, citas del Tratado de la lejanía 
y el nombre de su autor en la lista de agradecimientos.




LE VIE DEI CANTI

Voce, vocazione: il lontano prende voce perché i sensi possano scegliere un nuovo cammino. La fedeltà a una voce che veniva da lontano è spesso l’inizio di un compito, l’avvio di un’avventura umana. 



'Tali Tali' - Alice Nampitjimpa


Alice Nampitjimpa



MAPA MUNDI

Le mappae mundi, sin dal loro primo proposito di designare e disegnare la terra e i mari –quasi una fisica nuova nominazione- hanno per molti secoli frequentato i confini tra il conosciuto e l’ignoto, tra il visibile e l’invisibile, tra il naturale e il meraviglioso (...) Dare un nome a ciò che non ha nome perché ignoto, recingere lo sconfinato, disporre in un ordine spaziale e geometrico il misterioso, e ancora offrire una terra al mostruoso e un cielo alle divinità dei corpi astrali significava cercare rassicurazioni per lo spaurimento provocato dall’insondabile. E significava accogliere in un disegno il favoloso, e anche indicare dove si estendono i regni dell’inesplorato.






NOTTURNO STELLARE DELL'INFANZIA

E’ come se quella notturna caduta tra le stelle venisse da un sogno lontano e allo stesso tempo fosse liberata da ogni perturbamento, per consegnarsi alla gioiosa semplicità di un disegno, alla grazia animata di un ritaglio cartaceo colorato e squillante. Il cerchio rosso del cuore, il nero del corpo in volo, il giallo oro delle raggianti stelle sono il respiro dell’azzurro:  la lontananza possiede tutti questi elementi figurativi, li penetra di sé, e in certo senso li restituisce all’osservatore. La lontananza ha qui il ritmo, e il sorriso, di un disegno –di un sogno- che sale dall’infanzia, dal notturno stellare dell’infanzia.

Jazz, Matisse, 1946